L’azione che ci definisce

Se doveste scegliere una sola azione che vi rappresenti più di qualunque altra, che possa definire i vostri valori e lo spazio che occupate nel mondo, quale scegliereste?

Non deve essere un’azione eclatante, carica di significato. A volte un piccolo gesto, un certo modo che abbiamo di guardare o fare qualcosa, basta a raccontarci per intero. 

Se penso a mia madre, per esempio, riemerge istantaneo il profumo delle sue torte che usciva dalla cucina di casa nostra il sabato mattina, saliva su per le scale e attraverso lo spiffero della porta chiusa giungeva fino a me, svegliandomi con le narici già impregnate di quel profumo intenso e zuccherino. Questo non succedeva sempre. Mia madre ha lavorato tanto nella sua vita, non passava le giornate in cucina, ma quelle torte nei fine settimana avevano un significato ben preciso. Servivano a consolarmi quando stavo male di cuore. Lei ha sempre curato tutti noi con il cibo. Quello specifico profumo serviva a svegliarmi con la consapevolezza che qualcuno aveva già pensato a me, prendeva atto del mio dolore e provava a fare qualcosa.

Perché a pensarci bene questa storia delle azioni che ci definiscono alla fine raccontano una cura. Per chi o per cosa ci siamo? Chi o che cosa vogliamo preservare? Cosa ci spinge ad agire più di qualsiasi altra ragione?

A questo proposito vorrei raccontarvi la storia di un vecchietto che vive nel nostro quartiere, ormai conosciuto da molti come «Il signore che ripulisce i muri». Lo si può incontrare di tanto in tanto a camminare lento sui marciapiedi di Witikon, tirando il suo carretto contenente secchi, spazzole e prodotti per la pulizia. Passa le giornate a cercare graffiti da cancellare. Quando ne trova uno si adopera con fervore a ripulire il muro finché non torni intonso. 

Sembra il personaggio di un racconto, vero? Così poetico e drammatico nella sua missione solitaria, così determinato a tener pulito il suo quartiere dai vandalismi, dalla contaminazione di codici che lui non comprende e non vuole vedere. Pensate quanto possa essere solida in lui l’immagine della bellezza, tradizionale e forse un po’ antiquata, se la guardiamo da altri punti di vista, eppure così importante per lui da spingerlo a continuare, nonostante l’età a cancellare dai muri le prove di un mondo arrabbiato, che vuole gridarlo lasciando segni inequivocabili. Lui non lo accetta, non a casa sua, non così. E per quanto dubito che sappia distinguere tra una scritta volgare, priva di intento artistico e un graffito di street art, trovo comunque commovente la sua cura tenace contro il tempo e i tempi. 

La sua azione è una scelta consapevole. Sa che il suo lavoro è destinato a ripetersi sempre uguale a se stesso, come la punizione inferta da Zeus a Sisifo nella mitologia greca: condannato a spingere un masso su per una cima per poi vederlo impotente rotolare giù e dover ricominciare da capo. E forse è proprio questa continuità senza risoluzione definitiva a dargli pace, tenendolo in vita con la percezione di essere indispensabile al mondo, apportando un valore che solo lui può perseguire. 

Non posso che invidiarlo in fondo, perché non è facile trovare un’azione tanto giusta per sé stessi, in grado di lasciare un segno così carico di buona fede. Non ha importanza se a questo punto c’è anche qualcuno che si burla di lui, qualche giovane teppistello che imbratta volutamente i muri per poi sghignazzare in gruppo del silenzioso operato del vecchio.

Lui sa di cosa è responsabile, sa cosa lo mette al posto giusto nel momento giusto, cosa gli appartiene e quindi proteggere.

Alcuni potrebbero obiettarmi: -Sì, ma tu vivi in Svizzera, dove il rispetto dello spazio pubblico è sacrosanto.-

Esistono infiniti esempi di persone che vivono in ogni parte del mondo e hanno scelto cose, persone o animali inusuali di cui prendersi cura. Per tutte le gattare del mondo che sognano di sfamare ogni randagio che passa sotto il loro sguardo, per chi parla con gli alberi e li abbraccia, per chi fa sculture di palloncini con un camice tutto colorato ai bambini ricoverati in ospedale, per chi sa ancora stringere una mano con forza fissando dritto negli occhi, per chi sa abbracciare un naufrago disperato accarezzandogli dolcemente la testa, a tutti gli utopici che hanno scelto con una singola azione di rendere migliore un pezzetto di questa Terra dedico una delle citazioni più belle di Italo Calvino:

«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.»

Che possa ispirare chi come me ancora la sta cercando.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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