La fine della realtà condivisa per come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi

L’8 marzo scorso, in occasione della festa internazionale della donna, è apparsa una foto di Kate Middleton, principessa del Galles, sorridente e in perfetta forma insieme ai suoi tre figli.  La foto probabilmente non avrebbe destato così tanto clamore se non fosse che la futura regina d’Inghilterra è completamente sparita dalla scena pubblica, per motivi di salute non ben specificati, dallo scorso dicembre.

Dopo una prima e neanche troppo scrupolosa analisi le agenzie di comunicazione si sono viste costrette a ritirare la foto in quanto non rispettava alcuni canoni di autenticità. In pratica la foto risultava modificata e in maniera anche piuttosto grossolana.

Per esempio sulla spalla destra di Louis, la fantasia del maglione perde simmetria, la mano sinistra della principessa non è allineata con il resto del corpo e non ha l’anello di fidanzamento, dal quale non si separa mai e il suo viso sembra preso direttamente da un’altra foto stampata su Vogue. Insomma è chiaro che è stato fatto un bel collage, non ad arte, per rincuorare i sudditi e tutti i fans di Kate sulle sue condizioni di salute.

Non ha migliorato la situazione il messaggio “personale” di risposta alla gaffe firmato K. in cui la principessa si scusava accennando a certe sue passioni per la fotografia con cui si diletta nel tempo libero e che hanno reso ancora più inquietante tutta la vicenda.

Insomma invece di tranquillizzare gli animi, questo malriuscito intervento di Photoshop, unito al mistero che aleggia intorno allo stato di salute della principessa ha messo ancora più in allarme i fans della Corona e dei suoi personaggi, ma non solo.

Sono emerse molte riflessioni da parte di giornalisti ed esperti di comunicazione in merito al concetto della realtà condivisa che vanno a sommarsi a tutte le perplessità emerse con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale generativa.

Non mi addentro nel groviglio di pensieri relativi all’autenticità di un’ opera, che sia un testo scritto, un’opera artistica o una fotografia. La questione si infittisce nel momento in cui vengono utilizzati questi mezzi per creare e condividere un’immagine della realtà.

Secondo quali parametri potremmo sostenerne l’autenticità in futuro? Introdurranno nelle scuole corsi obbligatori per addestrare bambini e ragazzi al riconoscimento del deep fake? E tutti noi adulti che le scuole le abbiamo già finite, come ci prepareremo ad affrontare la relatività di tutto ciò che ci viene mostrato? Saremo tutti disposti a fare questo sforzo? Perché sarà molto più facile, come per tutte le grandi narrative della Storia, adeguarci al pensiero comune.

Sembra una distopia inquietante ed effettivamente lo è già in alcuni paesi.

Per esempio i complottisti o gli accaniti sostenitori della Repubblica islamica dell’Iran non hanno mai avuto dubbi sulla falsità delle immagini delle proteste di “Donna, vita, libertà”, fabbricate secondo loro ad arte in Occidente.

Lo stesso hanno fatto gli avvocati della Russia davanti alla Corte Europea con i video veri portati come prova dei loro crimini di guerra o il negazionismo relativo al massacro di Bucha, che secondo il presidente russo non è mai avvenuto, ma si è trattato di immagini false realizzate con l’utilizzo di comparse.

Il punto non è chiedersi come e dove verranno utilizzate queste nuove tecnologie, perché basta la consapevolezza della loro esistenza per alimentare un sentimento collettivo di scetticismo e sfiducia. Se neppure quello che vedo può confermare le parole delle notizie che ci arrivano a cosa ci aggrapperemo?

L’essere umano ha costruito la sua storia sulla narrativa. La realtà è da sempre fluida e manipolabile a seconda di come vogliamo raccontarcela. Vale per le nostre vite, con tutte le implicazioni che ne derivano in fatto di scelte, relazioni con gli altri e decisioni, ma inevitabilmente quelle che smuovono masse hanno un potere estremamente maggiore.

Se neppure più le immagini che ci arrivano dal mondo e da altre realtà sono attendibili, a cosa ci aggrapperemo? Alle narrative, raccontate da chi ci sembrerà più aderente al nostro pensiero. E sappiamo bene, perché abbiamo già assistito a fatti reali e gravissimi, che le narrative prive di fondamento reale portano a isterie di massa, stragi e violenze.

Ma non voglio terminare questo articolo con una nota così pessimista e negativa. Continuo a serbare molta fiducia nelle capacità di adattamento dell’essere umano, che è sempre stato l’elemento determinante alla sua sopravvivenza fino ad oggi. Sapremo evolvere dentro nuovi modelli di comprensione e valutazione della realtà. Come per tutti i passaggi evolutivi ci saranno fasi di disorientamento, come questa, in cui ci sentiremo sopraffatti da un qualcosa di incredibilmente innovativo e pericoloso. Infine troveremo il modo di conviverci, costringendoci a cambiare il nostro concetto di realtà condivisa. Ma del resto esiste un’altra certezza su questo pianeta se non il nostro inesorabile destino al cambiamento perpetuo?

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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