La memoria delle case

Da quando vivo in Svizzera la mia naturale propensione a sbirciare dentro le case degli altri ha trovato modi e opportunità tali da renderlo quasi un vizio patologico. Qui nessuno chiude le persiane la sera o tira tende spesse e opache per impedire agli spifferi e agli occhi indiscreti come i miei di entrare.

Non me ne vanto di questa debolezza, che sia chiaro, ma dal momento che per deformazione professionale cerco storie ovunque, scoprire che qui c’è una percezione molto differente rispetto all’Italia del concetto di privacy, mi ha permesso di osservare la vita degli altri da angolature del tutto nuove.

C’è stato un tempo in cui passavo le notti ad allattare la mia prima figlia seduta su una poltrona della cameretta vicino alla finestra. Guardavo fuori per ore. A volte mi limitavo a contare gli aerei che passavano, spesso mi soffermavo sulle poche luci accese nel palazzo di fronte al nostro. C’era un giovane uomo che ritrovavo spesso nelle mie notti di veglia, seduto a un tavolo con il viso illuminato dal suo computer. Mi ha tenuto compagnia dentro vari scenari possibili che mi sono immaginata di quelle sue attività notturne on line. Ce n’era un altro, al piano superiore che mi intimoriva. Girava per casa inquieto, sembrava sempre molto agitato. Una notte ho assistito a un diverbio molto acceso con la sua compagna. Lui dimenava le mani per aria con ampi gesti frenetici, barcollava, sembrava ubriaco. Non credo che quel conflitto sia sfociato in violenza ma è stato l’unico caso in cui il limite l’ho messo io, cambiando stanza.

È poi arrivata una famiglia, tempo dopo, con due bambini, di cui il più grande si è poi scoperto essere un compagno di classe di mia figlia. È stato imbarazzante quando ho incontrato di persona la madre, conoscere già così tanto del loro quotidiano famigliare: le loro cene tassativamente alle 18, ma quasi sempre insieme, i giochi del padre a lanciare verso il soffitto il più piccolo e poi riprenderlo tra le braccia e anche un abbraccio molto intimo e dolce tra la coppia, che mi ha raccontato del loro legame più di tante parole. È stato come stringere la mano a una persona che già conoscevo, ma a distanza.

Se siete arrivati fino a questo punto dell’articolo probabilmente vi starete chiedendo: ma questa psicopatica quante ore passa a osservare di nascosto le vite degli altri? Pochi minuti, a volte una manciata di secondi e quasi sempre di sfuggita. Lo giuro!

Ma davanti a una finestra illuminata passano una quantità infinita di frammenti di esistenze che basta veramente poco per cogliere l’atmosfera e l’umore che regna in una casa. 

Ora la mia famiglia preferita non c’è più, si sono trasferiti altrove e nel giro di pochi giorni altre persone hanno preso possesso dell’appartamento. Ho assistito al passaggio come a un lento rituale di congedo. La grande libreria bianca del salotto ha cominciato a svuotarsi, uno scaffale per volta. Ho visto la coppia passare le serate a riempire scatoloni e a muoversi rapidi per le stanze, dopo che i bambini erano stati messi a dormire. Ho visto sparire il tavolo e le sedie del balcone dove anche in piena estate consumavano le loro cene alle 18 in punto, con gli occhiali da sole per ripararsi dalla luce ancora forte e alta che li puntava. Ho salutato la loro storia a modo mio, guardando l’appartamento svuotarsi poco per volta. 

È seguito il buio, desolante e insolito, di quelle poche sere in cui il mio sguardo cadeva su quell’appartamento rimasto vuoto. Poi all’improvviso sono apparse ombre che si aggiravano per casa, pile di scatoloni ripiegati sul balcone e infine la luce a riaccendere l’attenzione su una nuova storia. Ma questa volta, a vedere volti sconosciuti muoversi in un appartamento tanto famigliare è sopraggiunta una sensazione nuova, di straniamento. 

Come poteva una casa accogliere così presto altre vite, senza risuonare ancora di tutte le energie delle vite precedenti, di tutti i suoni delle loro voci e dei loro umori? Come potevano i nuovi inquilini non sentire ancora gli odori di tutti i pasti preparati e consumati, delle cene e dei pranzi speciali, il profumo delle torte di compleanno, gli odori delle malattie e dei medicinali, il riverbero delle grida di gioia e dei pianti, il silenzio impenetrabile dei giorni più bui e le infinite impronte delle mani sui muri. In fondo le nostre case sono templi sacri, in cui saltuariamente permettiamo visite dall’esterno. Sono luoghi protetti dove ci permiattiamo di levare le maschere e mostrarci per come siamo. Chi vive con noi vede tutto, dal meglio al peggio, senza tralasciare tutte quelle infinite sfumature che ci rendono molto più complessi e contraddittori di quanto mostriamo fuori. 

Le case racchiudono segreti inconfessabili, istanti di disperazione che possiamo vivere solo così: dietro mura solide e fedeli. Perché le case non rivelano più di quanto i proprietari decidono di esporre attraverso l’arredamento e il decoro. Ma conservano memoria di tutto. Io ne sono convinta e credo anche che si possa allenare l’ascolto e percepire ciò che hanno custodito. Pensate a due appartamenti, uno appena costruito, con ancora l’odore dello stucco sulle pareti e uno molto vecchio, che è stato abitato a lungo. Siete sicuri di provare le stesse sensazioni a visitarli? Di non percepire energie, richiami dell’attenzione su certi angoli piuttosto che altri, stati d’animo più o meno forti. 

Ricordo ancora un senso di oppressione e paura quando da ragazzina sono stata con i miei genitori a visitare una grande villa bifamiliare. C’era una stanza in particolare che mi provocó un forte e immotivato disagio. Alla fine della visita notai dei ganci appesi al soffitto. Quando chiesi all’agente immobiliare cosa fossero, lui mi spiegó che la casa era stata usata come laboratorio di lavorazione di pellicce e ancor prima era stata occupata per un breve periodo da una sorta di comune-setta di cui si sapeva poco. Alla fine quella casa fu acquistata e il tempo che ci passammo, non troppo lungo per fortuna, non fu certo tra i più sereni della nostra storia famigliare. Le vicissitudini che capitarono avevano sempre a che fare con lei. Sarà stato un caso o forse, come sono più propensa a pensare, no.

Indipendentemente dal credere o meno a misteriose energie presenti nelle case è affascinante pensare che esistano dei testimoni silenziosi delle nostre giornate e nottate, che non ci giudicano, non intervengono. Si limitano ad esserci e a ricordarci che niente sarà perduto, perché anche il più piccolo gesto troverà posto nella memoria di una casa.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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