La mia vita nel mezzo

Seguendo la pista di riflessioni portate avanti dai miei colleghi di Sconfinamenti, provo anch’io a delineare per iscritto il mio controverso rapporto con la Svizzera.

Vivo stabilmente a Zurigo da più di dieci anni, un quarto della mia vita. Ho cambiato quattro case con la mia famiglia d’origine e tre nella mia vita da adulta, prima di approdare qui.

Approdare è il termine più appropriato per definire questo mio ultimo trasferimento. Un cuore in fuga, più che un cervello, in cerca del suo porto sicuro. Anzi, ammettiamo pure che la mia razionalità non ha mai trovato varchi di opposizione all’impeto emotivo di voler raggiungere la persona che poi è diventata nel tempo mio marito e padre dei miei figli.

Errore di valutazione o incosciente atto romantico, in ogni caso pagato molto caro nel tempo. Non ci vuole uno stratega a rivelare che buttarsi sul mercato del lavoro svizzero-tedesco senza conoscerne la lingua e con un background artistico-teatrale corrisponda a un salto nel buio, senza paracadute.

I primi anni, cadenzati da lavori saltuari e lunghi periodi di depressione, mi hanno svelato i lati più respingenti di questo Paese e la mia totale inadeguatezza a gestire una vita all’estero.

Non è uno scherzo, mai, lasciare la propria zona di conforto, fatta di reti sociali e famigliari affidabili, un lavoro che, per quanto precario, rappresentava la diretta conseguenza di un percorso di scelte e studi, per non parlare delle lingua, che nel mio caso, lavorando in ambito teatrale, rappresentava l’elemento di congiunzione determinante nella formazione della mia identità professionale e personale.

Ci sono molte persone più reattive ai cambiamenti e alle sfide dell’ignoto. Non faccio parte di questo eletto gruppo di individui, che vedono nella diversità uno stimolo a cercare il proprio punto di osservazione e confronto.

O meglio, è stato un lento e doloroso percorso di metamorfosi, in cui la resilienza ha sperimentato varie alternative per convincermi a restare.

E ad oggi cosa posso dire di me? Chi sono diventata vivendo qui?

Indubbiamente una persona migliore, che continua a combattere i propri demoni, con una capacità di adattamento e accettazione consolidate nel tempo.

Non vivo più con il pensiero fisso di un ritorno. La mia indole mi fa aderire perfettamente a ogni aspetto della vita sociale svizzera.

Non mi piacciono gli appuntamenti spontanei. Amo pianificarli, anche a distanza di parecchie settimane, per avere il tempo di prepararmi e indossare la mia maschera migliore.

Sguazzo bene nella fluidità della burocrazia svizzera, nella fiducia a priori verso il senso civico individuale, nei modi mai assertivi, per non dire rimproveranti, che noto sempre più spesso sulle scritte e nei cartelli che trovo in Italia, dagli uffici pubblici, alle aree esterne, quel continuo bisogno di ricordare al cittadino che esistono regole di comportamento che non sono a libera interpretazione.

Questo aspetto, legato alla fiducia e al rispetto della volontà del singolo, l’ho riscontrata in maniera lampante durante la pandemia. Ho ringraziato ogni singolo giorno di quei lunghi mesi nel trovarmi qui con la mia famiglia piuttosto che in Italia, perchè nessuno ci ha mai impedito di passeggiare nella natura o lasciar scorrazzare i bambini all’aperto, dove la scuola in presenza ha chiuso per pochissime settimane e poi, con test di classe costanti e a tappeto, ha trovato il modo di riaprire in sicurezza.

So che ci sono state opinioni molto contrastanti sulla gestione della pandemia da parte della Svizzera, ma vivendoci posso solo dire che ogni scelta è stata consequenziale allo spirito sociale molto specifico che domina qui, basato sul profondo patto di fiducia reciproca che regola cittadini e istituzioni e che purtroppo in Italia non esiste.

Nel tempo mi sono reinventata e il destino ha voluto che quella stessa lingua, la mia, tanto agognata, diventasse la base del mio nuovo lavoro. Insegno italiano come lingua straniera e ho ritrovato il mio modo per salvare e trasmettere ciò che di più caro ho lasciato: la letteratura, l’arte, la cultura culinaria, la musica, la bellezza paesaggistica, con una gratificazione costante nel vedere l’interesse e la passione dei miei studenti svizzeri nel conoscere più a fondo l’Italia.

Se ripenso a quella ragazza sprovveduta, arrivata in treno con una sola valigia e uno scatolone con  dentro l’albero di Natale, provo tenerezza per lei, per tutti gli ostacoli che ha dovuto superare, ma che l’hanno portata a essere oggi una madre che discorre in tedesco con medici e insegnanti dei suoi figli. Impensabile solo sei o sette anni fa.

Ironia della sorte, pochi mesi fa, di fronte a una più che allettante offerta di lavoro in Italia per mio marito, che ci ha dato non pochi grattacapi e pensieri, quella dei due più decisa a non accettare sono risultata io. Io, che avrei pagato oro per un’opportunità simile, fino a sette anni fa, ossia fino alla nascita della nostra prima figlia.

Perché i figli incidono inevitabilmente sul proprio processo di integrazione, velocizzandolo e mostrandone la necessità.

Siamo stati una coppia di expat, aperti a lasciare questo Paese di fronte ad altre opzioni di vita, che comunicavano solo in inglese e prendevano il meglio che la Svizzera potesse offrire, senza troppo coinvolgimento emotivo. Ora siamo genitori che hanno aderito con entusiasmo al sistema scolastico svizzero, almeno finora, che vogliono crescere i propri bambini qui, renderli bilingue e costantemente aperti al confronto.

Senza volermi definire più italiana o svizzera, ho trovato pace in questo mezzo. Il mio porto sicuro da una persona è diventato un luogo, che chiamo casa.

Per me smettere di voler scappare rappresenta la vittoria più grande. Non cercare più definizioni identitarie a tutti i costi mi ha permesso di vivere la mia vita tra Italia e Svizzera come avrei sempre voluto: libera di essere qui perché io voglio essere qui.

Seguici

Cerca nel blog

Cerca

Chi siamo

Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

Ultimi post