Quaderni proibiti

Alba De Céspedes è stata una scrittrice, poetessa e partigiana italo-cubana nata a Roma nel 1911. Figlia dell’ambasciatore cubano in Italia, crebbe in una famiglia colta, poliglotta e progressista. Nel 1935 fu accusata di anti-fascismo e trascorse alcuni giorni nel carcere femminile di Regina Coeli. Nel 1938 il regime fascista tentò di censurare il suo primo romanzo, ma Arnoldo Mondadori, legato all’autrice da una solida amicizia e profonda stima, si oppose al ritiro del libro. Conduttrice radiofonica per Radio Bari, sotto lo pseudonimo di Clorinda, continua la sua “resistenza” attraverso le parole. Nel 1944 fondò la rivista letteraria Mercurio che si avvalse da subito dei contributi di importanti penne italiane e internazionali, da Alberto Moravia, Sibilla Aleramo a Ernest Hemingway.

Da questa breve biografia, che tralascia il successo e le traduzioni delle sue opere letterarie, molto conosciute tra gli anni ’30 e ’70, emerge l’immagine di una intellettuale a tutto tondo: coinvolta attivamente nella politica del suo tempo. Una voce forte e chiara, che come molte altre vengono completamente ignorate dai programmi di letteratura delle scuole superiori.

Ho scoperto Alba de Céspedes da pochi mesi, grazie all’instancabile lavoro di divulgazione di Carolina Capria, scrittrice e attivista femminista, che conosce e pratica molto bene l’unico utilizzo sensato dei social che è aggiungere conoscenza approfondendo bene ambiti poco trattati.

Quaderno proibito è uno dei suoi romanzi più famosi, nato come storia a puntate pubblicata sulle pagine della “Settimana Incom Illustrata” e in seguito, nel 1952, come volume unico pubblicato da Mondadori.

L’incipit è iconico e geniale perché in poche righe catapulta subito il lettore dentro il patto silenzioso che provocatoriamente propone l’autrice: “Ho fatto male a comperare questo quaderno, malissimo. Ma ormai è troppo tardi per rammaricarmene, il danno è fatto. Non so neppure che cosa mi abbia spinto ad acquistarlo, è stato un caso. Io non ho mai pensato di tenere un diario, anche perché un diario deve rimanere segreto e, perciò, bisognerebbe nasconderlo a Michele e ai ragazzi.”

È Valeria Cossati che scrive, una casalinga, madre e impiegata in un’ Italia del dopo-guerra, invitandoci a entrare nel suo interno famigliare attraverso le pagine del suo quaderno che scrive la notte, prevalentemente, quando tutti dormono. I suoi giorni sono cadenzati da ritmi ripetitivi e incombenze sempre uguali, ma da subito emerge tra le sue parole la stanchezza che lei prova. Una stanchezza fisica e mentale, data da un lavoro a tempo pieno e dai doveri famigliari che non può delegare, solo provare a gestire, preservando un equilibrio di ruoli e relazioni il cui unico perno rimane lei.

Piano piano il suo quaderno la trascina verso una dimensione molto più intima e inconfessabile, rendendolo un materiale incendiario che va a tutti i costi tenuto nascosto. E il lettore trema con lei al pensiero che venga scoperto, ma allo stesso tempo desidera che questo avvenga, perché la sua resa silenziosa alla vita brucia più del diario stesso.

Non si può dire, come scrive Nadia Terranova, che ci sia nella protagonista, una coscienza di rivolta, un anelito alla ribellione estetica o radicale, ma un disagio precosciente, che lentamente riaffiora. Valeria è a tutti gli effetti una donna del suo tempo. Ha deciso di lavorare solo per aiutare il marito con le finanze famigliari, continua a proteggere il figlio maschio, ormai adulto, come un bambino e prova collera e paura verso le inclinazioni “libertine” della figlia, immagine di una nuova consapevolezza sociale e culturale che lei fatica a comprendere.

 Solo procedendo nella scrittura realizza quanto quell’ufficio rappresenti la sua evasione più grande, uno spazio suo, dove non è più madre né moglie e dove infatti finirà per rifugiarsi anche il sabato, a ricercare il silenzio e una stanza tutta per sé che in casa gli sono negati.

Il dado è tratto e per quanto la scrittura la debiliti, come lei stessa ammette, non può fermare il cambiamento che sente travolgere lei e ogni componente della sua famiglia. Ognuno vive la propria lotta interiore con il senso dell’esistenza. Ognuno soffre per il divario tra ciò che vorrebbe essere e ciò che è. Ed è Valeria, attraverso i suoi occhi, a raccontarcelo, mentre lei stessa ringiovanisce di una luce nuova, data in parte dal legame sbocciato con il suo capo ufficio, ma sappiamo, più di lei, che la vera ragione sta nel suo atto di scrivere, che la rende sempre più spietata e sovversiva.

Sempre Nadia Terranova, nella prefazione del romanzo, definisce “Quaderno proibito”: un tributo femminista a una generazione pre-femminista. Ma è anche una preziosa e chirurgica testimonianza di come vivevano, dentro e fuori, le donne del ceto medio degli anni Cinquanta.

Un libro indubbiamente rivoluzionario per i tempi, ma non abbastanza per essere almeno citato tra gli autori italiani del dopo-guerra.

Dopo aver terminato questo romanzo ho subito pensato a quanto sarebbe bello vederlo comparire nei programmi di letteratura della quinta superiore e poi per curiosità sono andata a rileggermi gli attuali programmi ministeriali. Ho cercato quelli ufficiali e poi sono entrata nei siti di vari licei per vedere, se tra le molte tematiche e autori imprescindibili comparisse casualmente qualche autrice.

Su decine di programmi ho ritrovato solo alcuni accenni a Elsa Morante. C’è Pirandello, intramontabile, ma non c’è mai Grazia Deledda che ricordiamo è stata l’unica donna in Italia a vincere il premio Nobel per la letteratura nel 1926, soffiandolo proprio a Pirandello.

Non c’è Natalia Ginzburg, non c’è Sibilla Aleramo, solo per citare le più famose, come non c’è Lalla Romano, Anna Maria Ortese o Goliarda Sapienza.

Sì, è vero, sono forse troppo “contemporanee” considerando i costanti ritardi con cui si arriva trafelati a concludere i programmi prima dell’esame di Maturità. Ma che giustificazione troviamo allora per le sorelle Brontë (prima metà dell’Ottocento), Jane Austen, Emily Dickinson. Trova sempre spazio il decadentismo inglese di Oscar Wilde, propinando agli studenti in tutte le salse “Il ritratto di Dorian Gray” e sorvoliamo con serenità su alcuni dei più grandi romanzi inglesi mai scritti come Jane Eyre, Cime tempestose e Orgoglio e pregiudizio.

E come ci giustifichiamo di fronte al vuoto intorno a Virginia Woolf o alla filosofa Simone De Beauvoir?

È inaccettabile e vergognoso che nel 2023 non ci si ponga ancora l’urgenza di un “rispolvero” un po’ meno sessista dei programmi di letteratura. Come è surreale che una studentessa di liceo non possa mai confrontarsi all’interno di una classe e con la guida di un insegnante con testi di autrici importanti che servono al di là della costruzione del proprio bagaglio storico-culturale a sviluppare consapevolezza e un pensiero prospettico e multiplo.

Riuscite a immaginare maschi obbligati a studiare per anni solo opere e pensieri femminili? Inconcepibile, vero? Ecco, questa è la realtà per le giovani donne che come me, ai tempi, ho dovuto cercare altrove e da sola di compensare quella disuguaglianza di offerta formativa, spinta da un vuoto che sentivo profondamente di dover colmare, un vuoto di capolavori come quello di Alba De Céspedes, che meriterebbe un varco per accedere a tutte quelle menti in potenza che per primi rivendicano risposte nuove, o anche semplicemente altre.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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