Un naufragio come specchio della società

Il 13 gennaio di dieci anni fa un evento drammatico attrasse i media di tutto il mondo. La nave da crociera Costa Concordia, salpata poche ore prima dal porto di Civitavecchia con 4229 persone a bordo, giunta nei pressi dell’isola del Giglio, impattò contro gli scogli delle Scole, causando l’apertura di una falla lunga circa 36 metri sul lato di sinistra. 

Lo scontro portò a una brusca interruzione della navigazione e al lento ribaltamento laterale della nave fino a raggiungere la posizione inclinata, immersa per metà, delle foto che hanno fatto il giro del mondo. 

Nel naufragio persero la vita 32 persone tra passeggeri e membri dell’equipaggio. Il comandante Francesco Schettino fu condannato a sedici anni di reclusione per omicidio plurimo colposo e abbandono della nave.

Queste sono le informazioni che quasi tutti sanno; tutto quello che manca a definire la complessità della vicenda e la dignità alle storie di chi era sulla nave si trova in un podcast scritto e narrato da Pablo Trincia, con la collaborazione di Debora Campanella, prodotto da Chora Media. Il podcast si chiama “Il dito di Dio, voci dalla Concordia” ed è uno dei prodotti di narrazione radiofonica più coinvolgenti e interessanti che abbia mai ascoltato. 

Pablo Trincia, giornalista e conduttore televisivo e radiofonico, porta avanti il racconto dei fatti in nove episodi, con le preziosissime testimonianze dirette di alcuni superstiti. Il racconto parte leggero, come la vicenda stessa, attraverso l’entusiasmo che ricordano per esempio i tre giovani fratelli Federica, Omar e Vanessa, che con la loro numerosa famiglia si erano imbarcati sulla crociera “Profumo d’agrumi” per festeggiare tutti insieme una ricorrenza molto importante, l’anniversario di matrimonio dei loro nonni. La nave è una città dei divertimenti, il regno dei balocchi che attrae i tre giovani con le sue infinite proposte di intrattenimento al punto da non far sentire la necessità di scendere neppure per le visite turistiche. 

La stessa cosa capita a Stefania, una ragazza siciliana di diciassette anni, imbarcata con il fidanzatino Andrea, sua madre Maria Grazia e l’ amica Luisa. Anche loro hanno una ricorrenza importante da festeggiare: il cinquantesimo compleanno di Maria Grazia, reso ancora più simbolico dalla notizia della guarigione dal cancro, dopo un lungo e sofferto periodo di cure. 

Nessuna delle voci che ascoltiamo nel racconto poteva immaginare che quel viaggio in mare, per celebrare la vita, si sarebbe trasformato in un incubo di terrore e morte. 

La scelta di lasciar raccontare alle vittime le dinamiche di quella lunga sera, le loro sensazioni ancora vive, nonostante i dieci anni trascorsi e la commozione, mai abusata dall’intervistatore, che ha saputo esporla il minimo necessario per non cadere nel facile dramma e mantenere lucida l’attenzione degli ascoltatori, ha fatto la differenza di questo prodotto narrativo. 

Dieci anni fa ho seguito le notizie del naufragio come tutti, ma una volta rientrato lo shock iniziale, la storia della Concordia ha perso interesse, catalogata come una delle tante piaghe di cattiva gestione del nostro Paese, in cui nuovamente la memoria collettiva non ha potuto nulla per prevenire altri eventi drammatici che sono seguiti negli anni, come il crollo del ponte Morandi o la strage del Mottarone.

Ascoltare questo podcast ha aperto uno scenario totalmente nuovo sulla vicenda e sulla nostra società nella sua interezza. Perché “Il dito di Dio” non si limita a esporre i fatti salienti, ricostruendo le cause evitabili che hanno portato alle morti, come il ritardo inspiegabile e l’omissione perpetuata oltre i tempi massimi nel dichiarare a bordo e alla capitaneria di porto il reale stato di emergenza. 

L’elemento che rende più forte la narrazione sta nel mostrare le varie sfaccettature umane che sono emerse durante quelle ore di paura. 

C’è chi ricorda uomini travolti da un terrore bestiale che spingevano via donne e bambini per accaparrarsi un posto sulle scialuppe. Chi come il batterista Giuseppe Girolamo, 30 anni, a bordo per suonare con il suo gruppo “Dee Dee Smith”, che nonostante avesse già preso posto su una scialuppa, scese per far salire un bambino, morendo così sulla nave. 

La voce di Pablo Trincia dipinge immagini di una forza sovrumana, spinta da un amore che non può abbandonare i propri cari alla morte, riportandoci inevitabilmente alla grande mitologia greca, come Claudio Masia che sostiene per gran parte del tentativo di salvataggio i genitori ultra ottantenni Nino e Giuseppina, quando ormai le condizioni di equilibrio a bordo sono estremamente precarie a causa del forte inclinamento della nave. Claudio riuscirà a portare in salvo sua madre, come Enea portò in salvo il vecchio padre Anchise lasciandosi alle spalle Troia in fiamme, ma per fare questo il vecchio padre lascia la mano del figlio dicendogli in sardo: -“Castia Mama rua”, pensa a mamma. 

“Il dito di Dio” aiuta a delineare un quadro molto più ampio delle vicende umane che sono avvenute a bordo e a terra, discostandosi, pur non tralasciandole, dalle omissioni imperdonabili di chi sarebbe dovuto restare fino all’ultimo sulla nave a dirigere i soccorsi, invece di comparire tra i primi naufraghi approdati sull’isola del Giglio, dove al contrario, tutti gli isolani partecipano attivamente al soccorso e all’accoglienza degli sventurati.

Quello che emerge sono tutte le possibili reazioni alla paura, da quelle più basse a quelle più nobilitanti, raggruppabili in fin dei conti in due macro gruppi: chi ha pensato prima agli altri e chi ha pensato prima a se stesso. Non c’è giudizio nel racconto, anzi, una frase riportata da un passeggero anziano in risposta a un soccorritore infuriato contro quelli che presi dal panico avevano scavalcato donne e bambini, chiamandoli “Animali”, riassume tutta la pietà che emerge da questa storia: -Non trattarli così.- dice l’uomo, -Hanno solo paura.-

E nuovamente la forza della narrazione crea memoria profonda, perché sedimentata dalla compassione e dalla commozione che ci lega ai protagonisti di questa triste vicenda.

Non servirà a evitare future stragi, come la Storia continua a dimostrare, ma forse, come dichiara l’autore stesso, conoscere gli esempi di grande coraggio e umanità può aiutarci a capire come comportarci in situazioni difficili. Perché non siamo solo una società egocentrica e individualista. Siamo anche artefici di grandi gesti di solidarietà se decidiamo di non farci sopraffare dalla paura e restiamo lucidi di fronte alle richieste di aiuto. 

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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