Cucinare come atto d’amore

All’inizio della mia collaborazione con Sconfinamenti scrissi un articolo sul tema “L’azione che ci definisce” (lo trovate sotto la mia rubrica Intersezioni), nel quale raccontavo la storia di un uomo la cui missione di ripulire a mano i muri del suo quartiere, imbrattati di scritte e graffiti, rappresentava più che una semplice azione, ma la rappresentazione della sua vita.

È passato più di un anno da quell’articolo, ma ho incontrato una persona che merita di essere raccontata, perché la sua azione ha una connessione diretta con tutta la sua storia.

Questa donna meravigliosa si chiama Fernanda Giamello ed è, insieme a Stefania Bernardi e Monica Dos Santos, fondatrice di Effefood, il cibo al femminile. Insieme hanno realizzato un progetto bellissimo e coraggioso. Effefood è molto più che un’azienda che organizza corsi di cucina tipica piemontese ed eventi privati. È un luogo in cui ogni dettaglio racconta un episodio, un aneddoto, un ricordo legato alla vita di Fernanda e alla sua tradizione culinaria e famigliare.

Sono stata invitata nel suo regno e degustare i suoi piatti, preparati da lei soltanto, con una cura ineccepibile, è stata un’esperienza totalizzante, che oltre a coinvolgere tutti i sensi, ha smosso, grazie ai suoi racconti, memorie lontane, di quando ancora vivevo in Italia e mi sentivo appartenere a un territorio molto preciso.

La sua casa e laboratorio si trovano ai confini della città di Alba, con la vista sulle prime colline delle Langhe. I turisti del nord Europa, compresi svizzeri e tedeschi, amano queste zone collinari, ricche di tradizione vitivinicola, ma ciò che lei offre è qualcosa di più: immergersi nell’identità di un territorio e comprenderlo attraverso il cibo, o meglio la preparazione dei piatti.

Fernanda mostra a gruppi di stranieri come vanno impastati gli gnocchi, citando il detto di sua nonna che le patate migliori sono le più vecchie, perché prive di acqua che danneggia la consistenza. Mostra il ripieno dei famosi agnolotti al plin, spiegando che le varie tipologie di arrosti e verdure che costituiscono quella minuscola pallina morbida, vanno tutti tagliuzzati a mano per mantenere la consistenza corposa e non quella del “frullato industriale”.

Ogni piatto racchiude incontri e collaborazioni speciali, come la polvere di cappero che si fanno mandare direttamente da una piccola azienda siciliana, con cui danno un tocco di originalità alla salsa tonnata di un altro imprescindibile antipasto piemontese.

Tutti i vini proposti per accompagnare portano con sé una storia di virtuose realtà locali, nel reciproco interesse di promuovere la qualità e il coraggio dei piccoli imprenditori agricoli.

E il coraggio non manca di certo a questa donna dallo sguardo limpido e pieno di passione per ciò che fa, nonostante la vita non le abbia risparmiato sfide molto dure.

Ma partiamo dal principio. Fernanda lavorava come assistente sociale con i tossicodipendenti. E questo indubbiamente spiega la sua naturale indole all’incontro con l’altro. È una persona che da subito trasmette fiducia e voglia di condividere a livelli profondi, tralasciando tutte quelle formalità sociali che esigono convenevoli generici e superficiali. 

Tra una portata e l’altra ci ha raccontato di come in realtà la passione per la cucina abbia sempre fatto parte della sua vita, fin da piccola, quando aiutava sua nonna a preparare a mano i tajarin, ascoltando i suoi aneddoti, quegli stessi che ora racconta ai suoi corsisti e ai suoi ospiti.

Poi, come capita quasi a tutti a un certo punto del proprio percorso, è arrivata una crisi e lei ha deciso di ascoltarla. Si è licenziata e si è data il tempo di capire cosa volesse fare veramente, dedicandosi per alcuni anni ai suoi quattro figli. Quando lo ha capito è nato Effefood e da allora, oltre ad ospitare classi di turisti stranieri e studenti di scuole alberghiere, girano l’Italia e l’Europa con i loro catering, portando la tradizione gastronomica italiana in matrimoni tedeschi o eventi aziendali in Francia o in Belgio.

La forza che la contraddistingue non si è dimostrata solo nel suo progetto visionario. Alcuni anni fa ha perso suo marito in circostante improvvise, ritrovandosi da sola a gestire un’azienda in crescita e quattro figli di cui due ancora ragazzini. E ne parla con una lucidità e una accettazione positiva che lasciano interdetti. “Quando ci sei dentro, fai quello che devi fare” questa è stata la sua frase più ricorrente, durante il nostro pranzo. Anni e anni di formazione in mindfullness non mi permetterebbero di raggiungere lo stesso livello di comprensione che mi ha regalato la sua storia.

Ha continuato a cucinare e a raccontare la sua terra e le sue tradizioni, affrontando nello stesso tempo un lutto terribile e le inevitabili difficoltà emotive dei suoi figli nell’accettarlo.  

Perché questa è l’azione che la definisce, da cui attinge la sua determinazione e il suo modo di esprimersi.

Entrare nella cucina di Fernanda significa lasciarsi andare, affidandosi totalmente. Lei ti nutre di immagini prima che di cibo e ogni piatto, gustato con attenzione, sembra il più buono che tu abbia mai mangiato. Si può dire che Fernanda faccia del bene cucinando. Coccola i suoi ospiti e accetta anche le sfide più ardue: come organizzare un’esperienza di preparazione e degustazione per un gruppo di persone cieche.

L’entusiasmo con il quale ci ha raccontato di averli portati nell’orto a riconoscere con l’olfatto e raccogliere le verdure e le erbe che sarebbero servite per preparare i piatti, mi ha reso un’immagine cosi vivida che mi sembrava di sentire anch’io l’odore del pomodoro ancora attaccato alla pianta, mentre lo raccontava.

Penso che la cucina, per Fernanda, sia un amore, è come tale, l’ha salvata e restituita a se stessa tutte le volte che si è sentita persa o sconfitta. Questo, credo, sia il potere che ha l’azione che ci definisce e che ci spinge a vivere, nonostante tutto.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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