I nonni welfare

Tempo fa un nostro amico, raccontandoci la loro organizzazione famigliare con due bambini e due lavori, ha fatto una battuta dicendo: “È risaputo che in Italia i nonni sono il vero e unico welfare per le famiglie.”

Naturalmente, come la maggior parte delle coppie di genitori italiani che conosciamo, loro usufruiscono ampiamente di questo “welfare”, senza riflettere troppo sui privilegi di una cultura sociale fondata sull’aiuto assistenziale gratuito della famiglia d’origine.

L’offerta di asili nido in Italia c’è e secondo gli ultimi dati ISTAT è anche piuttosto corposa: 13.542 servizi educativi per la prima infanzia con oltre 350 mila posti autorizzati al funzionamento, di cui il 49% in strutture pubbliche.

Ogni volta che spieghiamo a un amico o conoscente italiano i costi degli asili nido nella Svizzera-tedesca strabuzza gli occhi scioccato, ma questa purtroppo è la nostra realtà: strutture esclusivamente private e con costi davvero proibitivi.

Dunque, inconsapevoli della loro fortuna, i genitori italiani che possono usufruire di nonni che abitano nella stessa città o paese, continuano ad affidare i propri figli a persone pensionate, in un silenzioso patto di reciproco sostegno, per quando sopraggiungerà il momento di ricambiare il favore.

Conosco bambini che hanno passato più tempo con i loro nonni che con i rispettivi genitori. Nonni autisti, cuochi e colf che, già che ci sono, preparano anche il pranzo ai figli che passano nella pausa dal lavoro. Nonni che  forniscono anche la cena, restituendo i bambini già impigiamati e lavati, pronti per la messa a nanna. Nonni stanchi, spesso frustrati di non avere il tempo materiale di crearsi una routine quotidiana di attività sportive o ricreative perché immersi in una nuova vita frenetica e piena di responsabilità, simile a quella lasciata da poco, se non che questa non è retribuita, se non con gratitudine, quando viene espressa.

Non mancano spesso gli straordinari durante i weekend e per le lunghe ferie estive, in cui alcuni intrepidi nonni affittano case al mare per portarci i nipoti.

Mi sono spesso chiesta come sarebbe andata la mia vita negli ultimi sette anni se avessi avuto anch’io a disposizione dei nonni disposti ad aiutarci quasi quotidianamente. Molto probabilmente, a causa delle mie manie di controllo quasi patologiche, non avremmo mai richiesto un aiuto così continuativo. Ma indubbiamente, avere delle persone di famiglia per le emergenze o per qualche uscita da soli, a ricordarci cosa significa essere anche una coppia e non solo una squadra in trincea, avrebbero giovato in diversi periodi difficili.

Questa sorta di obbligo sociale, che molti italiani sentono verso i propri figli e nipoti, non si manifesta in altri luoghi. In Gran Bretagna per esempio non è sconveniente chiedere una contributo alle spese in caso di “baby-sitting famigliare”. Ne abbiamo avuto una testimonianza diretta e la stessa cosa mi è capitata di sentire qui a Zurigo, in un raro caso di accudimento giornaliero. I nonni in questione hanno richiesto ai figli uno stipendio adeguato al loro impegno quotidiano.

Lo conferma anche uno studio commissionato dalla Berner Generationenhaus con un sondaggio condotto dall’Istituto di ricerca Sotomo. Gli intervistati chiedevano sgravi fiscali, crediti per l’assistenza all’infanzia o contributi finanziari e due terzi erano favorevoli a che lo Stato compensi i nonni per il lavoro che svolgono per accudire figli e figlie dei loro figli.

Impensabile in Italia anche solo discutere apertamente sul tema. Si innalzerebbero barriere di giudizio e critica verso tutti quelli che hanno osato toccare il sacro vincolo famigliare e i doveri che comporta. Immagino già i poveri mal capitati travolti da invettive come: “gente senza cuore”, “vergognatevi, i nipoti sono il più bel regalo che possiamo ricevere dalla vita”, “dov’è finito il senso profondo della famiglia”, ecc…

Perché così come la maternità edulcorata da una precisa immagine sociale strutturata e patriarcale, anche il sacrificio dei nonni, che rinunciano al loro meritato riposo e alla libertà in nome dell’amore che provano per i nipoti è un retaggio culturale molto, anzi troppo, radicato.

Non intendo dire che sono a favore dello stipendio per i nonni, semplicemente il problema della gestione dei bambini va affrontato in altro modo, prima di tutto, ovviamente dalla politica.

Politiche famigliari più eque, come l’allungamento e la parità del congedo parentale, più strutture pubbliche di accudimento a costi contenuti, supporti concreti per le famiglie a reddito basso, sgraverebbero forse in parte i nonni, ma non basterebbero perché il processo è prevalentemente culturale e andrebbe a intaccare certezze molto solide su cui si poggiano relazioni e affetti.

Probabilmente le cose in Italia continueranno cosi ancora per molto tempo, con figli sempre più esigenti e nonni sempre più stanchi e lamentosi, ma mai davanti ai parenti.

In conclusione di questa lunga polemica vorrei chiudere con un ricordo, uno dei più vividi della mia infanzia. Avrò avuto cinque o sei anni, mio nonno paterno veniva a prendermi alla scuola dell’infanzia e rimanevo con lui un paio d’ore ogni giorno. Mi stupisco ancora oggi, che di anni ne ho quaranta, di quanto sia vivida l’immagine di quei giochi. Lui travestito da strega, cavallo o principe azzurro, a seconda delle necessità narrative e io sempre la principessa da salvare. Mi ricordo di essere stata molto felice in quelle ore e solo quando se n’è andato ho realizzato quanto fossi legata a mio nonno Oreste.

Non so se ai miei figli basteranno questi momenti brevi ma totali, in cui i nostri genitori vengono a trovarci o noi scendiamo in Italia, per creare quello stesso legame unico e speciale.

È indubbio che se una ricompensa si paleserà per quei nonni italiani invincibili in cambio di tutte quelle ore spese, sarà negli occhi di quei bambini, nella confidenza e nella fiducia che mostreranno, in quel loro particolare modo di guardare chi amano profondamente e che neppure la maturità scalfirà mai.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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