Il coraggio e la disperazione di una generazione abbandonata

Ho una figlia di sette anni che va in prima elementare e adora tutto della sua scuola. Al momento sembra prediligere la matematica e i lavori manuali alle altre materie, ma la sua mente è immersa in un processo di scoperte ed evoluzioni continue, come i suoi interessi, quindi non escludo la possibilità che tra qualche mese subentreranno altri input a stimolarla di più. 

La sua visione del futuro è in continua evoluzione. Si immagina paleontologa, pittrice o pasticcera a seconda dei momenti. A volte vorrebbe già essere in sesta classe per la fatidica gita di una settimana lontano dalla famiglia. Il suo bisogno di indipendenza cresce con lei ed è bello osservarla mentre fantastica sulla sua casa futura, in cui si vede con il suo migliore amico, tanti gatti e figli adottati. 

Questa è la realtà di una bambina italiana nata in Svizzera, che condivide questo immaginario di passioni e prospettive con quella fetta di bambini occidentali che vivono in condizioni benestanti. 

Il 21 dicembre 2022 il ministero dell’istruzione superiore del governo afghano ha indetto un’ ordinanza valida per tutti gli atenei pubblici e privati del paese vietando l’accesso agli studi alle donne “fino a nuovo ordine”.

La notizia ha fatto molto scalpore arrivando anche a sfiorare le coscienze del lontano e distratto Occidente. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, si è detto “profondamente allarmato” dalle misure emesse da Kabul. Ma, come sempre, le più potenti manifestazioni di dissenso sono rimaste interne al paese. Ripostato da numerosi media per esempio il video che mostra diversi studenti di medicina della facoltà di Nangarhar uscire per protesta dalle aule universitarie al motto “Tutti o nessuno”.

Gesti coraggiosi perché determinanti, come quello di Ismail Meshal, professore universitario della facoltà di Kabul, che ha strappato in diretta tv i suoi diplomi  sostenendo essere inutili ormai. “Se mia sorella non può più studiare allora questo paese non è più un posto dove fare istruzione”. L’ho ha detto con la voce rotta e le lacrime agli occhi. Gesti simbolici, in assoluta opposizione alla dittatura violenta e patriarcale dei talebani, caratterizzata da una idolatria della potenza machista che punta a schiacciare qualunque forma di diritto universale delle donne.

Del resto cosa possiamo aspettarci dalla comunità internazionale che conosceva i talebani e la loro distorta interpretazione dell’Islam e nonostante questo li ha finanziati con l’accordo di Doha raggiungendo l’intesa tra Stati Uniti e i miliziani nel febbraio del 2020, che prevedeva anche il ritiro totale di quelle stesse truppe Nato giunte nel paese nel 2001 per combattere proprio i talebani. 

Di fronte a questa totale rinuncia di responsabilità le proteste di questi ragazzi e uomini afghani acquistano un valore fondamentale perché mettono a rischio la loro vita e perché intaccano la nostra inconscia visione del paese. 

L’imposizione culturale e religiosa talebana è obbligata a fare i conti con una generazione che è nata ed è cresciuta in un contesto sociale completamente diverso e nonostante la violenza estrema con cui hanno potuto riappropriarsi del potere politico dell’Afghanistan, ben più difficile sarà contrastare una generazione aperta e informata, che usa internet, ha studiato ed è disposta a lottare per le proprie compagne, mostrando addirittura vulnerabilità.

Non è vero, come ho purtroppo sentito dire, che i Talebani hanno trovato in Afghanistan terreno fertile perché in fondo “sono tutti estremisti uguali e culturalmente impreparati a contrastarli.”

Questo per noi occidentali rende ancora più arduo accettare il destino di tutte quelle studentesse disperate, chiuse fuori dalle università. Ma il decreto non si è limitato purtroppo all’istruzione superiore. 

Una lettera pubblicata da New Lines Magazine di una insegnante di scuola elementare di Kabul, Sediqa Farahsa Merzayee, ha confermato che il divieto a frequentare la scuola è stato ampliato anche alle bambine dai cinque anni. Bambine senza il ciclo mestruale, quindi di fatto non ancora donne, secondo le regole religiose, eppure già prive di diritti fondamentali per nascita.

Che cosa spaventi tanto questi uomini temuti e potenti della possibilità di far studiare una ragazzina o permettere a una madre vedova di uscire di casa per andare a lavorare, rimane il grande quesito che necessiterebbe analisi approfondite sulla discriminazione di genere a fini politici. 

Esiste un timore, evidentemente, silenziato con la forza, nel permettere alle donne di vivere una vita dignitosa e libera. La probabilità di una perdita di controllo sociale che risolvono trasformando in fantasmi metà della popolazione afghana. Figure rarefatte e silenziose, che non hanno più autonomia né il diritto di immaginare un futuro. 

Penso alle centinaia di bambine, coetanee di mia figlia, a cui è stato detto di rimanere a casa perché la scuola non è più per loro. Penso alle loro cartelle, ai piccoli quaderni e alle loro matite colorate. Me le immagino chiuse in casa a disegnare, finché la loro fantasia gli permetterà di immaginare qualcosa oltre quelle mura. 

Cosa ne sarà di loro per i prossimi anni a venire e delle insegnanti come Sediqa, di appena vent’otto anni e senza più la possibilità di praticare la sua professione? Cosa ne sarà di tutte quelle fervide menti destinate ad atrofizzarsi nell’unica speranza rimasta, quella di un matrimonio rispettoso che non gli porti altro male. 

Perché sperare nella fine di questo incubo non è contemplato e l’abbiamo visto nella disperazione dei loro pianti fuori dalle università. Nessuno può aiutarle, men che meno l’Occidente che si mostra costernato ma sa voltare in fretta lo sguardo altrove. 

Passerà il tempo, in qualche modo, dimenticate dal mondo, finché non si uniranno all’esercito di fantasmi muti che popolano le strade di Kabul, figure eteree, senza volto e neppure più un’infanzia che le possa raccontare.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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