La “nuova” scuola

Immaginate una trasmissione televisiva in cui cinque persone siedono a un tavolo e mangiano mentre discorrono di temi molto caldi e complessi, dalla politica, alla scuola, passando per economia e immigrazione. La donna a capotavola è Maria Latella, giornalista e conduttrice e anche simbolica padrona di casa, che fa servire i suoi ospiti, personaggi illustri della politica o del mondo dello spettacolo, da ragazzini in uniforme bianca, provenienti da qualche importante scuola alberghiera nazionale. Mentre queste figurine volatili, mute e molto serie, tolgono i piatti sporchi o rimboccano i calici di vino, i commensali discutono pacatamente sui grandi temi che affliggono la nazione.

Ora, già di per sé, associare la dialettica a una tavola imbandita di pietanze molto ricercate, non fa pensare a conversazioni particolarmente profonde e focalizzate, tralasciando il cattivo gusto della scelta del format in questo specifico momento storico.

Purtroppo le gaffe non si limitano a questo. Nella puntata del ventidue novembre riconosciamo tra i banchettanti il ministro dell’istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, l’inesorabile Bruno Vespa e un povero Giacomo Papi, scrittore e giornalista, scelto probabilmente per creare un minimo di contraddittorio nella discussione, evidentemente sbilanciata. C’è anche un quarto ospite, Joseph Kosiara, un giovane, l’unico presente, ex allievo di una scuola sperimentale approdata dall’estero e aperta da poco a Roma e Firenze.

Si parla molto di scuola e di giovani e lui rimane l’ospite più silente. È comprensibile, incutono timore questi adulti attempati, così sicuri di sé da non mettere mai in discussione le loro granitiche certezze. Joseph, che rappresenta quella specifica e evidentemente sconosciuta fetta sociale di cui si parla, non interviene mai di sua spontanea volontà e nessuno dei presenti gli chiede espressamente di esprimersi, se non Maria Latella, per educazione e necessità di scaletta, a sponsorizzare rapidamente la scuola che rappresenta.

-In due secondi- testuali parole, -puoi spiegarci brevemente- e ridaje, -che cos’è la Scuola 42 Roma Luiss?

Sottotesto: rapido mi raccomando, che ci sono dei tempi televisivi e una gerarchia, nella quale tu ovviamente sei nel posto più basso.

Che tristezza. Guardare questo video mi ha ricordato quei caotici pranzi di famiglia, in cui gli adulti più anziani parlano dei giovani come creature sconosciute e incomprensibili, ma indubbiamente peggiorate nel tempo. Non come ai tempi loro, -Signora mia, i giovani di oggi…-

Ma il problema più grave di tutta questa patetica messa in scena sono le affermazioni del Ministro e del suo compagno di merenda Bruno Vespa.

Si parla di bulli, come ci ha già dato modo di capire Valditara, una delle piaghe scolastiche che gli sta più a cuore.

Propone una serie di soluzioni per contrastare questi individui geneticamente aggressivi, il cui unico scopo è quello di infastidire e creare disordine.

Dopo l’affermazione che gli ha procurato non poche rogne, di qualche settimana fa, in cui asserisce con la sua ormai nota espressione militare che l’umiliazione rimane la pratica di “correzione” per eccellenza, in quanto fondamentale per la crescita e la costruzione della personalità, ha pensato bene di rincarare la dose in questa nuova occasione.

Il bullo rappresenta esclusivamente un disagio sociale che non ha origini, contesto o cause pregresse. È il nemico, capro espiatorio di tutti i mali dell’istruzione italiana e in quanto tale non merita tempo o energie per essere recuperato. Va soppresso, allontanato dalla comunità o al limite usato come strumento proficuo.

Ben vengano dunque i lavori socialmente utili, conclude dunque Almitara, evitando giustamente l’espressione “lavori forzati”, per quanto a tutti alla fine del suo discorso sarà venuto naturale l’accostamento al detenuto.

Ma Bruno Vespa decide di rincarare la dose con una sua proposta riflettuta e valutata a fondo ( -La prima cosa che mi viene in mente…- esordisce), che consiste nell’isolare il bullo, durante le quattro ore di lezione giornaliere, in biblioteca.

Non so se da tutta questa farsa patetica di soggetti che dovrebbero in modi diversi rappresentare un Paese, faccia più male la dicotomia tra i giovani e chi dovrebbe tutelarli, o il recupero di un linguaggio anacronistico, che sbandiera  un’ideologia dell’educazione finita e superata da decenni.

L’aspetto che mi rattrista maggiormente è la mancanza di qualunque forma di empatia. Da subito Almitara ha messo in chiaro il suo concetto di istruzione fondato su due pilastri: il merito e la punizione.

Non esistono sfumature, diversità, alternative al “giusto agire” già definito.

Le storie personali, i contesti sociali e storici dei ragazzi non contano più nulla. Non c’è la volontà di voler comprendere cosa significhi veramente per un adolescente vivere questo tempo post pandemia, dopo quasi due anni di didattica e socialità a distanza. Perché invece di preoccuparci a cercare strategie punitive efficaci non proviamo a capire che cosa significhi per un ragazzino perdere il gruppo, in quanto questo sì vero strumento di “crescita e costruzione della personalità”, vivendo per tutti quei mesi in uno stato di semi clausura. Nessuno che metta come priorità la salute mentale dei ragazzi, anche attraverso una relazione più vicina e di scambio aperto con le famiglie.

No, signori miei, il Ministro dell’istruzione, alle famiglie, manderà la letterina informativa per indirizzare efficacemente i figli nel mondo del lavoro, in base alle reali offerte del mercato sul territorio, per non sprecare risorse.

Perché diciamocelo chiaro, la scuola come luogo di inclusività a prescindere, aperta al confronto, attenta e consapevole delle varie umanità che si ritrova a gestire, è una utopia da fricchettoni.

I nostri politici lo sanno bene cosa serve a questi giovani: polso duro e una chiara linea di condotta. Ma soprattutto poco spazio all’iniziativa personale, perché se manca la fiducia, meglio non concedere troppo margine all’errore.

L’Italia ha bisogno di menti rapide e decise, diligenti pedine per il mercato, facili da collocare perché formate a creare profitto. Poco importa cosa pensino o sognino, cosa si celi dietro quella “smania del telefonino” con il quale disturbano in classe. La rabbia non ha ragione di essere né tanto meno di manifestarsi.

Sono giovani, lo sappiamo, ma è un morbo che per quanto recidivo, a un certo punto sparisce, lasciando solo più vaghi ricordi, memorie di un mondo sempre più lontano, che con il tempo non ci interessa neanche più. E allora che siamo certi di essere diventati adulti, adulti chiamati a decidere per loro.

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Questo blog nasce dall’incontro di tre persone emigrate volontariamente in età adulta dall’Italia in Svizzera e che in questo Paese hanno realizzato esperienze diverse in vari ambiti lavorativi e culturali. 

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